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Fini: impossibile integrarsi con chi ruba

Il leader di An: il decreto deve cambiare. Tre condizioni per dare il nostro sì

ROMA—Le accuse di strumentalizzare una tragedia? «Risibili». La richiesta di collaborazione sul decreto espulsioni? «Sì, ma solo alle nostre condizioni». L’appello a coniugare rigore e integrazione? Esistono comunità, come quella rom, «che non sono integrabili nella nostra società». Non ha paura di dire qualcosa di destra,Gianfranco Fini. Nemmeno se il prezzo da pagare è quello di chi gli rinfaccia un passato fascista che non passa mai: «Non pensino di fermarci con queste idiozie...».E se sia il coraggio di chi mira alla posta alta come la poltrona di sindaco di Roma a far avanzare come un treno il leader di An, o più ancora la volontà di sfidare la leadership di Berlusconi sul terreno dei fatti, è difficile da dire. Perché sul Campidoglio Fini non chiude: «Prima si dimetta Veltroni, poi vedremo...», e sulla sfida alla guida del centrodestra è secco: «Chi ha più filo da tessere, tesserà».

Presidente Fini, il centrosinistra la accusa: lei ha strumentalizzato la tragedia di Tor di Quinto con uno show sul luogo dell’omicidio, ha alzato i toni pericolosamente come dimostra il raid punitivo contro i romeni di Tor Bella Monaca. La sua replica?
«Sono accuse risibili, che si ritorcono contro chi le fa. Cosa c’è di strumentale nel recarsi sul posto dove è avvenuto un atto così efferato che ha portato perfino il governo a smentirsi nel giro di 24 ore, prima negando la necessità di un decreto e poi convocando d’urgenza il Consiglio dei ministri per vararlo? Lo dico con la massima chiarezza: le ronde sono inaccettabili e condannabili, ma Amato e Veltroni ci vadano a Tor Bella Monaca, a vedere a quale livello di degrado si può arrivare».

Per far sentire la propria voce c’è bisogno di essere presenti sul luogo di un massacro?
«I soloni si mettano d’accordo: se uno resta nel chiuso del Palazzo, è la casta, se interviene anche in presa diretta, strumentalizza... La verità è che amuovere tanti è l’invidia: se certi uomini di governo fossero andati a Tor di Quinto quella sera, avrebbero avuto bisogno della scorta».

Il ministro Amato su Repubblica definisce «irresponsabilità etica» quella di chi soffia sul fuoco...
«Stimo Amato, ma anche in lui c’è l’incapacità tipica della sinistra di comprendere la portata di quello che sta accadendo. Eticamente irresponsabili sono loro, quando negano che l’emergenza sicurezza esiste, quando con Veltroni dipingono la Capitale come una Disneyland. La xenofobia e il razzismo sono infezioni dello spirito, ma l’antidoto per combatterle è una politica fatta di rigore, espulsioni, ordine, legalità, non il lassismo di Prodi, il giustificazionismo di chi alla fine considera il romeno che ha ucciso vittima della società ingiusta».

Da sinistra replicano che la risposta all’emergenza prevede anche le parole solidarietà e integrazione. «Certo, ma alla parola solidarietà si aggiunga, sottolineata, la parola legalità. E sull’integrazione bisogna essere chiari: c’è chi non accetta di integrarsi, perché non accetta i valori e i principi della società in cui risiede».

Parla dei rom?
«Sì, mi chiedo come sia possibile integrare chi considera pressoché lecito e non immorale il furto, il non lavorare perché devono essere le donne a farlo magari prostituendosi, e non si fa scrupolo di rapire bambini o di generare figli per destinarli all’accattonaggio. Parlare di integrazione per chi ha una "cultura" di questo tipo non ha senso».

Lei sa che rilanciando questa linea non sarà chiamato «il Sarkozy italiano » ma il Fini tutto «manganello e doppiopetto», come scrive il direttore dell’Unità, perché «camerata è per sempre». Che effetto le fa?
«Nessuno, tutto ciò mi lascia indifferente. E se pensano di intaccare con queste uscite il consenso del mio partito, non hanno capito proprio niente di questo Paese».

Lo dice perché secondo un sondaggio Sky il 91% degli italiani è d’accordo con la sua richiesta di estendere le espulsioni a chi non ha redditi?
«È un dato che non mi sorprende affatto, basta farsi una passeggiata fuori dai palazzi per capire quello che pensa la gente».

Dunque se il governo non modificherà il decreto su questo punto, voi non lo voterete, anche se Rutelli sul Corriere ve lo chiede espressamente e Berlusconi parla di esigenza di «compattezza»?
«Berlusconi ha ragione a dire che il decreto è un pannicello caldo, varato sull’onda del panico e perché Veltroni temeva di veder crollare il suo castello di Roma città modello. Noi comunque siamo disponibili a votarlo, ma a tre condizioni: che preveda espulsioni effettive e coatte, e non semplici intimazioni ad andarsene come emerge oggi dal testo; che appunto, recependo integralmente la direttiva Ue, si possa espellere anche chi non ha un reddito certo e infine, perché non rimanga tutto lettera morta, in Finanziaria bisognerà aumentare sensibilmente i fondi alle forze di polizia».

La sinistra della maggioranza non voterebbe mai un decreto così...
«Lo penso anch’io, ma se c’è o no una maggioranza, a questo punto è problema loro».

Presidente Fini, in tanti ormai sospettano che la sua battaglia sulla sicurezza sia mirata anche alla candidatura a sindaco di Roma. È così?
«Le cose che ho detto su Roma le dico anche su Catania, manon mi candido a sindaco di quella città. La battaglia sulla sicurezza è un argomento talmente nel Dna della destra, che sarebbe insensato derubricarlo a mezzo utile per scalare il Campidoglio».

Ma a correre ancora per Roma lei ci pensa o no?
«Tutti coloro che hanno questo cruccio, si diano da fare perché Veltroni si dimetta: credo che i romani abbiano diritto a un sindaco che si occupi a tempo pieno della città».

Insomma, se Veltroni si dimettesse, lei si candiderebbe?
«Se, se... Vedremo cosa succederà. Oggi la questione all’ordine del giorno non è questa».

Lo sa cos’altro si dice, che lei sta sfidando la leadership di Berlusconi su un terreno concreto e cruciale come quello della sicurezza.
«Guardi, sono sei mesi che cerco di far capire al mio partito che in questa fase per An è essenziale prendere l’iniziativa politica, il che vuol dire denunciare i fatti prima degli altri, proporre soluzioni e risposte prima degli altri, agire prima degli altri».

E non è quel che fa chi punta alla leadership?
«Non farei questo automatismo... La verità è che oggi esiste una legge elettorale con base proporzionale che prevede la competizione anche tra alleati. Dunque, chi ha più filo da tessere, tesserà. Ma per aumentare i consensi di An e centrodestra, serve fare politica, non discutere di leadership».

Paola Di Caro
04 novembre 2007

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