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e che vaghi rossori fuggitivi le passassero, con una trasparenza alabastrina, sul bel viso che teneva chino, e sul collo delicato.
S’erano seduti sotto il pergolato. Ella gli parlava con quella dolce favella della fanciulla toscana che somiglia a cinguettio d’uccelletto; sorrideva, arrossiva, giocherellava cogli sgonfietti del suo vestito e colle foglie del pergolato; era tutta festante, e si voltava ad ogni momento per veder comparire Velleda che non veniva mai. Le ombre delle frondi sembravano accarezzarla alternando la luce sul suo viso; il venticello, di tanto in tanto, faceva strisciare leggermente il lembo della sua veste sui piedi di lui. Egli respirò con forza, quasi con voluttà, e sorrise; ella respirò del pari e sorrise. — O perchè? gli domandò ancora sorridente.
— Sento allargarmisi i polmoni.
— È l’aria montanina.
— Come fa bene!
— Non è vero? e si tacquero.
— Ti piace la campagna? riprese ella poco dopo.
— Sì.
— Ci starai volentieri?
— Volentierissimo.
— A me piace tanto! esclamò ella battendo le mani tutta sorriso.
— Ti piace stare a guardare la luna dalla finestra? domandò tutt’a un tratto e bruscamente il cugino, come rispondendo ad un pensiero insistente.
— Sì....